Charles Baudelaire ebbe a scrivere: «Il vino assomiglia all’uomo: non si saprà mai fino a qual punto lo si possa stimare o disprezzare, amare o odiare, né di quali azioni sublimi o di quali mostruosi misfatti sia capace».
Ogni vendemmia dà vita ad un vino che può essere buono o cattivo, piacere o non piacere, suscitare piacere oppure no.
Ma come nasce un vino? Tutto ha origine dal mosto, che è quanto si ottiene dalla pigiatura dell’uva. La fermentazione ha una sua intriseca energia ed è stata considerata nel corso degli scorsi 8.000 anni, dotata di una invisibile magia.
Il mosto oggetto misterioso ma non troppo
Il mosto rappresenta un universo complesso. Contiene un numero enorme di componenti: acqua per un 70-80%, fruttosio, glucosio e un elevato numero di sostanze (circa 1800 diverse) tra cui le più l’acido tartarico, l’acido malico e l’acido citrico, quegli acidi fissi che contribuiranno alla freschezza del vino, e poi pectine e tannini. Molti di questi elementi verranno trasferiti al vino in sede di vinificazione, andando a caratterizzarne tipologia e personalità: sali minerali, acidi volatili, antociani, glicerolo, sostanze proteiche, vitamine.
La vinificazione resta, da sempre, una trasformazione che segue criteri e leggi del tutto naturali, proprio come l’indole dell’uomo, per come scriveva Baudelaire, oggetto di studio che ne ha potenziato l’efficacia, migliorato la resa e la qualità ma sempre rispettandone la naturalezza.
La fermentazione dell’uva: una fase magica
La fermentazione, il vero fulcro della vinificazione, è un processo molto complesso, che passa attraverso reazioni determinate da enzimi e lieviti.
I lieviti, vegetali unicellulari, sono gli attori principali della trasformazione del mosto in vino. Si nutrono degli zuccheri presenti nell’uva, si trasformano producendo alcool, anidride carbonica e energia termica.
I lieviti si trovano sulla buccia dell’acino e hanno connotazioni differenti a seconda del tipo di uva cui appartengono. Nel tempo, e dopo studi mirati, sono stati catalogati e suddivisi per poter essere utilizzati in enologia per migliorare e conferire personalità a mosti e vini.
Il tipo di lievito più comune in enologia è il Saccharomyces Cerevisiae, presente anche nella fermentazione della birra e nella lievitazione del pane.
Nelle fasi iniziali, i lieviti svolgono una respirazione aerobiotica, utilizzano l’ossigeno presente nel mosto, trasformando gli zuccheri in acqua e anidride carbonica. Quando nel mosto si esaurisce l’ossigeno inizia la fermentazione vera e propria, un processo svolto in assenza di aria, durante il quale i lieviti producono energia attraverso l’ossidazione degli zuccheri trasformandoli in alcol etilico, anidride carbonica e altri prodotti secondari, che svolgono un ruolo essenziale nelle qualità aromatiche e gustative del vino. Proprio questi prodotti “secondari” determineranno caratteri gustativi e organolettici del prodotto finale.
Il tempo e la temperatura
Sono due i fattori dei quali l’enologia si serve per “guidare” questo articolato processo: il tempo e la temperatura.
Maggiore è il tempo di fermentazione e più alte le sue temperature, più forte sarà l’azione di estrazione dal mosto, di aromi, colori e sostanze.
Se non si controllano questi processi, gestendo la temperatura con l’ausilio di serbatoi refrigerati che avvolgono i vasi vinari, il rischio è di sviluppare caratteristiche organolettiche non armoniche col tipo di vino che si desidera produrre o di perdere in finezza ed equilibrio.
Per questo motivo le temperature di fermentazione saranno più alte quando si producono i vini rossi e saranno più basse quando si intende produrre vini bianchi.
La temperatura è determinante anche durante l’aggiunta dei lieviti selezionati nel mosto. È importante che la temperatura dei lieviti sia il più possibile uguale a quella del mosto al quale saranno aggiunti, poiché eccessive differenze potrebbero provocare la morte di gran parte dei lieviti, rendendo quindi vana questa operazione (shock termico). Infine va ricordato che l’aggiunta dei lieviti va fatta prima dell’inizio della fermentazione.
Quanto scritto costituisce solo uno schema generico: ogni enologo apporta ogni anno ed a latitudini differenti, personalizzazioni, modifiche, variazioni volti a conferire carattere e peculiarità ad un lavoro che si rivela essere sempre più di enorme fascino e complessità.